Il Mito di Gabi - Valter Casagrande - AUDIO
Gabi (in lingua latina Gabii) fu una città del Latium vetus, posta al XII miglio della via Prenestina, che collegava Roma a Præneste, e che secondo Dionigi di Alicarnasso faceva parte della Lega Latina. Le sue cave fornivano un'eccellente pietra da costruzione, il lapis gabinus. Secondo la tradizione fu il luogo dove Romolo e Remo sarebbero stati educati e sarebbe stata loro insegnata la scrittura. A Gabi si rifugiò Tarquinio il Superbo, quando fu espulso dall'Urbe dai cittadini in rivolta che avevano decretato la fine della monarchia e l'esilio perpetuo. Gabi rappresenta il vertice antico di un triangolo con ai lati le cittadine di Tibur (Tivoli), Præneste (Palestrina) e Collatia ( Lunghezza), che nel periodo antico ebbero notevole sviluppo e grande importanza nelle vicende storiche e politiche del Lazio in forza della posizione strategica sulle arterie di collegamento dei percorsi commerciali tra l'Etruria e la Campania. Tra il IX secolo a.C. e VIII secolo a.C. in queste comunità ebbero luogo delle trasformazioni sociali, che portarono alla costituzione di un sistema sociale con la formazione di centri protourbani, anticipatori di quelli urbani propri del territorio laziale latino. Gabi potrebbe essere la città natale del poeta Tibullo. Il sito, che si trova adesso a circa 20 chilometri di distanza da Roma al km 2 della via Prenestina Nuova, era situato lungo il percorso della via Prenestina antica, che attraversava la città, formando l'asse viario principale, via che in precedenza era chiamata via Gabina ( o Gabiense). NEL grande lago prosciugato che costeggiava Gabi, il lago di Castiglione, adesso spuntano balle di fieno, i trattori procedono pigri nel loro andirivieni e il podere quattrocentesco in cima alla collina è rosa e nuovo, con un magazzino dove cassette e cassette di cocci vengono spazzolate, lavate e talvolta ricomposte in anfore o vasi. Sparsi nella campagna intorno - tra il grano, i papaveri e le margherite - tanti ruderi apparentemente indistinti. Sul bordo della conca verde che era stata un vulcano e poi un lago, sta una manciata di case impari, senza ordine né regola, borgate col nome di Osa e Castiglione d' Osa. E' qui, dietro la via Prenestina nuova, al fianco di Pantano Borghese, che sorgeva l' antica Gabii, cittadina potente, al centro di un crocevia di scambi con la Campania di Cuma e l' Etruria di Cerveteri, dai costumi raffinati tanto da generare una leggenda secondo la quale Romolo e Remo vi vennero inviati per la loro formazione. Qui era Gabii, famosa per la sua pietra capace di resistere agli incendi a cui deve forse anche il toponimo, che potrebbe venire da cabum-cavum, luogo delle cave di pietra. Utilizzata per costruire il grande muro che separa la Suburra dal Foro di Augusto, per Ponte Milvio, per la tomba di Cecilia Metella. Gabii, la nemica di Roma ai suoi albori che al solo nominarla destava allarme e preoccupazione. Sono tante le leggende, innumerevoli le attestazioni nei testi dei grandi autori classici che dicono la storia di questa che in origine era, come quasi tutte le città del Latium vetus, una colonia di Alba Longa. Della storia successiva, delle sanguinose lotte per la supremazia parla Dionigi di Alicarnasso e poi ancora Tito Livio. Ma la più nobile delle fonti è Virgilio che nel libro VII dell' Eneide fa menzione del santuario di Giunone gabina quando racconta le fondazioni delle città. E Marziale elogia negli epigrammi i benefìci legati alle terme dove anche Augusto, imperatore della pace, veniva inviato dal suo medico, Antonio Musa Ma anche la storia degli scavi sull' area è corposa. A mettere le mani sulla terra è per primo Ennio Quirino Visconti insieme al principe Camillo Borghese che nel 1792 riconosce la piazza, l' antico foro ed estrae una quantità di statue, vasi, marmi, iscrizioni. Una collezione che viene poi collocata nel Casino dell' Orologio a piazza di Siena, nato per essere Museo Gabino ma destinato a una triste sorte giacché i reperti vennero ceduti a Napoleone Bonaparte e si trovano tuttora al museo del Louvre La necropoli di Osteria dell'Osa La necropoli dell'età del ferro di Osteria dell'Osa è legata con la fiorente Gabi, Le datazioni dei ritrovamenti si situano nel periodo compreso tra il IX e il VI secolo a.C.; la necropoli è composta da circa 800 tombe e sepolture. Nei ritrovamenti vi sono iscrizioni in lingua greca del 650 a.C., le più antiche in Italia in questa lingua (dopo la coppa di Nestore), ed iscrizioni in lingua latina del 750 a.C., che sono le più antiche del mondo in questa lingua. Presso la sezione della protostoria dei popoli latini del Museo nazionale romano sono raccolti i materiali scavati negli ultimi decenni. Quindi il valore strategico della posizione occupata da Gabii, il controllo di rilevanti arterie di collegamento e di tracciati commerciali (ad esempio tra l’Etruria meridionale e la Campania o tra il versante Adriatico) consentono alla città Gabina un notevole sviluppo economico, sociale e politico nella dimensione centrale pre-italica. Difatti nei primi decenni del V secolo a.C., quando Roma sconfisse la Lega Latina (costituita da alcune città che volevano mantenere la propria indipendenza) in prossimità di Gabi ( battaglia del lago Regillo), quest’ultima assunse una potenza e uno splendore mai più eguagliati. L’attività organizzativa e vitale ben nota anche nelle fonti classiche, è ricordata accuratamente dalle narrazioni di Dionigi di Alicarnasso, che menzionava l’invio a Gabi dei giovani Romolo e Remo, presso la comunità del pastore Faustolo, per apprendere, appunto, l’arte della scrittura e delle lettere, della musica e soprattutto dell’utilizzo delle armi. RILESSIONI Faustolo ed Acca Larentia: un pastore ed una prostituta. Quindi secondo la storiografia prevalente romana i figli di una regina, discendente da Enea, Rea Silvia, e del dio Marte, furono formati a Gabii da queste due figure: ACCA LARENZIA (Larentia, altri Laurentia). - Antichissima divinità romana, sulla cui tomba al Velabro il 23 dicembre, giorno dei Larentalia, il flamen Quirinalis e i pontefici celebravano sacrifici funebri (parentatio). Per alcuni (p. es. De Sanctis) essa è la madre dei Lari; altri invece, per la diversa quantità di Lăres e Lārentia, la ritengono una figura Magna Grecia, fusa poi con la divinità del Velabro (Zielinski, Wissowa); per altri infine essa sarebbe la Madre Terra. ( Treccani) ACCA LARENTIA E FAUSTOLO In Acca Larenzia e Faustolo si mescolano mito e leggenda. Da un lato, essa è, un antichissima dea etrusca, acquisita dai Romani come prostituta semidivina protettrice dei plebei. Dopo aver passato una notte di preghiere nel tempio di Eracle, per volere del semidio incontrò un uomo ricchissimo che sposatala, la lasciò erede di una immensa fortuna, che a sua volta lasciò al popolo romano, che festeggiava la donazione con le feste dette Larentali, ricorrevano il 23 dicembre. Più tardi il nome di Acca Larenzia fu attribuito alla moglie del pastore Faustolo che aveva trovato Romolo e Remo. Pur essendo già madre di dodici figli, i cosiddetti fratres arvales, Acca Larenzia allattò e allevò anche Romolo e Remo. La formazione di un’articolata “leggenda” riguardo alla fondazione di Roma conobbe un decisivo impulso in età augustea. Le ragioni di questo sviluppo sono abbastanza chiare: Roma era ormai diventata il centro politico, economico e culturale di tutto il Mediterraneo e Augusto, nella sua vasta opera di riorganizzazione della compagine statale romana, mirava ovviamente a nobilitarne il passato e a dare così ragioni “culturali” del suo dominio sul mondo. Il simbolo su cui si incentra la leggenda è la lupa, divenuta nume tutelare di Roma; la lupa era anche l’animale sacro del dio sabino Mamers, analogo di Marte, ed era anche l’animale tutelare dei latini con il nome di Luperco, mentre per gli etruschi il lupo raffigurava Aita il dio purificatore e fecondatore. Si può supporre che la fusione dei miti sia stata voluta per avere una maggiore coesione tra le diverse etnie. Tutta la simbologia appare incentrata sulla figura dell’animale meglio conosciuto da genti che vivevano di pastorizia e che esorcizzavano i loro timori assegnando al loro potenziale nemico attributi divini. Nella religione primitiva questi animali, lupi ma anche serpenti, rapaci ed i primitivi uri potevano dare la morte ma erano i figli della Dea Madre che era capace di rigenerare ogni cosa. Il culto della Dea Madre era associato ad una caverna che simboleggiava la parte interiore della dea da cui si generava la vita e la grotta dove la lupa portò al riparo i gemelli si chiamò Lupercale. ARVALI (fratres arvāles) Antico collegio sacerdotale romano, di dodici membri, che secondo una remotissima tradizione rappresentavano i dodici figli di Acca Larentia, e di Faustolo e in cui i mitografi riconoscevano una raffigurazione dei dodici mesi. Si dedicavano al culto della terra che nutrisce, invocandola sotto il nome di dea Dia, e il loro anno liturgico, che era anche l'anno di carica dei dignitarî del collegio, andava da una festa delle sementi all'altra Le origini degli Arvali si ricollegano con quella forma della primitiva religione che si riferisce alla coltura dei campi (arva), favorendola con cerimonie sacrificali. La dea Dia, che essi veneravano, era forse la stessa Cerere, e l'insegna propria dei membri del sodalizio era la corona di spighe con bianche bende. I solenni sacrifici dei fratelli Arvali si celebravano precisamente nei giorni delle antichissime Ambarvalia (gli Ambarvali erano una serie di riti che si tenevano nell'antica Roma alla fine di maggio per propiziare la fertilità dei campi, celebrati in onore di Cerere) con i carme arvalico. Il testo del carme arvalico (verso suturnio) in lingua arcaica, divenuta incomprensibile agli stessi Romani dell'età imperiale, comprovano le remote origini del collegio. IL VERSO SATURNIO l'unico verso usato nella poesia latina arcaica, prende il nome dal dio Saturno che, secondo il mito, si era rifugiato nel Lazio dopo la cacciata dal cielo; è detto anche faunio, in onore di Fauno, il dio indigeno che lo avrebbe inventato. Il poeta Ennio scrive che gli antichi canti erano in saturni e che a questo verso ricorrevano i vati e i fauni, intendendo forse così indicare il suo uso nei canti della tradizione religiosa e agreste. È un verso imprevedibile, dalla struttura estremamente fluida sulla cui natura gli studiosi non sono unanimi: ha un ritmo quantitativo, costruito cioè secondo una precisa successione di sillabe lunghe e brevi, oppure accentuativo, basato cioè su una determinata alternanza di sillabe toniche e sillabe atone, oppure, ancora, quantitativo e accentuativo insieme. Il fatto è che nei pochi versi pervenuti, circa duecento tra epigrafici e letterari, non si riscontrano due saturni uguali. È probabile comunque che nei primi secoli il verso avesse un ritmo accentuativo di origine indoeuropea, e successivamente, in fase soprattutto letteraria, diventasse quantitativo, perché più adatto alla natura della lingua latina. CONCLUSIONI Quindi secondo la storiografia romana che, sempre di parte voleva nascondere l'esistenza della storia preromana al fine di esaltare la grandezza di Roma, Romolo e Remo, figli di una Regina e di una divinità, vennero inviati a studiare in un posto molto marginale (Gabii) presso un pastore (Faustolo) ed una prostituta (Acca Larentia). Ogni merito, per quanto avessero costruito nel futuro, sarebbe, quindi, stato solamente loro! La realtà, o meglio l'ipotesi più realistica della quale io sono convinto, è che Gabii era una antichissima città centro della socialità, della cultura e della religione pre-romana. Prima di tutto il suo legame, e forse la sua unitarietà, con Palestrina, l'antica Praeneste, la cui importanza e la cui sacralità sono testimoniate dalla collocazione su una collina difesa da una doppia cinta di mura poligonali. Un tempio, quello della Fortuna Primigenia, che, nonostante le numerose utilizzazioni successive, ha mantenuto la sua forma originale: quella di una Ziqqurat sumero-mesopotamica. Quindi una datazione che, a mio avviso, può risalire a 2000 anni prima della fondazione di Roma. Un'altra Ziqqurat è stata individuata in Sardegna e questo a testimonianza della espansione dell'antica civiltà cancellata dall'evento catastrofico che, probabilmente, attorno al 1600 A.C., ha trasformato la geografia mediterranea. L’esplosione di Thera, un meteorite precipitato, lo spostamento dell’asse terrestre o l’apertura dei Dardanelli, o meglio quello di Gibilterra, un evento distruttivo epocale, o il concatenarsi di più eventi a breve distanza di tempo, ha modificato sostanzialmente la configurazione della terra e, per quel che ci riguarda, del vecchio continente e del mar mediterraneo. Per concludere Gabii, Faustolo e, soprattutto, Acca Larentia sono i veri fondatori di Roma e i Romani che hanno cercato di nascondere tutto con una leggenda, alla fine, non hanno potuto cancellare la cosa più figurativa ed immediata: Il simbolo stesso di Roma che ancora adesso la rappresenta.